venerdì 8 giugno 2012

Incompleto


La mia finestra è un palo, un palo immobile, una finestra che non può essere aperta. Polvere su polvere. Guardo fuori attraverso il vetro e vedo un cielo a piano terra, un cielo diviso, un cielo cieco a metà. Ecco, il palo che salva dalla pena, il palo che non accontenta mai, eppure, resta il gesto, l’eterna impresa incompiuta, palo. Urla per le strade, infestate da ambulanti randagi che cercano risposte lontane, qualche cenno improvviso, risoluto, che possa arrestare il loro errante vagare - Castagnieeeee . Urla indistinte dal gioco come le stanche onde di un lago che placide vanno e vengono nella mia testa, urla del primo pomeriggio, per uno scherzo, per una risata che non smette di divertire. Bambini già grandi, nei fatti, nei sogni infranti di una strada che non vuole raccontare favole, inutili racconti da scuola materna. C’era una volta la strada. Gli occhi servono per vedere e non vedere. Le mani sanno della loro forza, dell’innocenza perduta. L’amore è paura. L’amicizia è timore. Una volta tanto apro gli occhi e li vorrei chiudere. Trattengo il respiro della coscienza: apnea emotiva. Vado in fondo ai miei pensieri ad un passo dall’oblio, sono circondato dal vuoto dell’esistenza, dalla strada affamata di vita. C’era una volta un sogno che sapeva di speranza, lo so, lo spero. Vado giù a cercarlo. Continuo la discesa e l’ossigeno inizia a mancare, mentre stringo la mandibola per non perdere le ultime briciole d’aria, la testa si fa più pesante, i pensieri come macigni mi portano a sprofondare tra le correnti marine. Sono stanco. Mi abbandono al mare, al suo silenzio. Vedo strani pesci nel fondale che mi avvolgono in un abbraccio viscido. Mi riportano alla superficie in un attimo. È lì che incontro gli occhi di quel ragazzo. Occhi furbi e freddi che sanno di storie lontane e ombre perdute, fantasmi e cuori, miseria e immatura redenzione -Saivvooo- mi chiama. Lo vedo, alle porte di un cancello metallico, che si avvicina verso di me, cammina in fretta. Il suo volto è segnato da mille cadute,ferite, dai spregiudicati colpi della strada. Ogni favola ha la sua morale, ogni strada ha le sue cicatrici. Cicatrici inevitabili che parlano nel silenzio, crescono nel rancore. Piccolo con il corpo d’acciaio e sangue, con lacrime mute sotto la pelle mi saluta con un abbraccio veloce e inconsistente. Gli parlo -Dove abiti, dove vivi?- e le sue risposte sono un eco, i fumi stanchi di una nave lontana, una sfida da affrontare -Non ho una casa, non ho una famiglia- e mentre parlava, fumava un mozzicone di sigaretta. Aveva dodici anni e aveva iniziato dai dieci anni. A dodici anni fumava già la solitudine.- Ne vuoi una?- mi disse senza guardarmi.”Non fumo”risposi senza parlare. Lo guardai e cercai il profondo senso del suo nome, il respiro nell’apnea, la speranza di una nuova vita. Ecco un cuore solo che si scopre incompleto.


Nessun commento:

Posta un commento